Più che scisma, cataplasma

Alla fine è successo. Se ne parlava da un paio di settimane ormai, anche se pochi avevano prospettato un simile scenario. Anche Makkox, da sempre arguto, aveva raccontato così la prevista resa dei conti di sabato scorso:

E invece…
Angelino Alfano e i cosiddetti “governisti” del PDL hanno stupito un po’ tutti, consumando lo strappo e non aderendo alla neorinata (praticamente uno zombie) Forza Italia.
Uno scisma degno del Patriarca di Costantinopoli nel 1054 (Eh? Qui).

Però…
Alcune delle cose dichiarate dal leader del “Nuovo centrodestra” (a proposito: complimenti per la fantasia) lasciano perplessi.
Innanzitutto le motivazioni della rottura. “Non potevamo restare ostaggio degli estremisti“, ha tuonato Alfano. Intendendo con ciò – si immagina – i noti falchi del Pdl: Biancofiore, Bondi, Brunetta, Capezzone, Santanchè, Verdini; ai quali aggiungerei Mussolini e Gelmini, come quote rosa per pareggiare i rappresentanti dei due sessi… Sì, beh, avete capito, no?
Viene da domandarsi dove il buon Angelino abbia vissuto fino ad oggi e quale partito abbia frequentato, visto che i suddetti falchi hanno sostenuto per anni le stesse e identiche cose che blaterano ora.
Si è quasi tentati di dar credito alla sempre più esoftalmica Carfagna, quando sostiene che l’intenzione degli scissionisti sia la mera conservazione della poltrona. In effetti l’idea non è peregrina. Al di là della carica ministeriale, Alfano si è probabilmente reso conto che all’interno del partito – vecchio o nuovo che sia – qualcuno era sul punto di scalzarlo dal ruolo di “delfino“. Lontano dalle logiche governiste, svincolato da ogni tentazione equilibrista, nell’ultimo mese Raffaele Fitto ha scalato posizioni, avvicinandosi al capo col più classico degli espedienti: assecondarlo su ciò che gli sta più a cuore.

Ognun per sé, dunque?
Non proprio, no. Tra le dichiarazioni di Alfano, la più significativa è senz’altro quella in cui dichiara che il suo partito continuerà a fare le stesse battaglie di prima, cominciando dal non votare la decadenza di Berlusconi da senatore. Perché – provo a interpretare il pensiero del Ministro dell’interno – Berlusconi è un perseguitato politico. Proprio come sostengono i falchi del PDL, adesso Forza Italia.
In pratica, il “Nuovo centrodestra” sarà uguale al vecchio: garantirà gli interessi di Berlusconi, lasciando però che quest’ultimo faccia il leader dell’opposizione (anche se in effetti tutti già lo consideravano tale). Cosa che, stante l’attuale governo, gli porterà presumibilmente un mucchio di voti alle prossime (secondo me imminenti) elezioni.

Cosa accadrà a quel punto, è difficile dirlo. Forse Alfano&Co. saranno confluiti nel nuovo Grande Centro di Casini (o nel nuovo Grande Casino dei Centri); forse torneranno all’ovile seguendo la parabola del figliol prodigo. Comunque vada, mi piace ricordarli così:

Ops… Errore mio.

Too big to fail?

Anna Maria Cancellieri speech at Chamber of DeputiesIl Presidente del Consiglio Enrico Letta dice che sfiduciare il Ministro della Giustizia equivale a sfiduciare il Governo intero; e che l’eventuale destituzione di Anna Maria Cancellieri equivarrebbe ad esautorare tutto l’esecutivo, il quale è oggetto – a parer suo – di una aggressione politica.

Insomma, la consueta dichiarazione a metà tra integralismo e supercazzola, farcita di iperboli minatorie tese unicamente a semplificare i concetti e a radicalizzare le posizioni, ad incutere il terrore di un eventuale cambiamento e a cristallizzare la situazione.

L’espressione “aggressione politica” è poi degna di un trattato di neolingua. Non ha alcun significato concreto, ma è efficace nel calare un termine violento e negativo, anche per i suoi connotati estremamente “fisici” (aggressione), ad un contesto (quello politico) che è naturalmente territorio di scontri dialettici e confronti di opinione spesso molto duri e accesi.

La confutazione del discorso è piuttosto semplice.

  1. Ogni ministro è responsabile del proprio operato indipendentemente dall’azione globale e generale del Governo, soprattutto quando le sue decisioni non siano strettamente collegate ad essa.
  2. Secondo la Costituzione italiana, il Parlamento è sovrano. Esso ha quindi il diritto di decidere sul singolo ministro (come accadrà oggi) senza che l’eventuale sfiducia si ripercuota sull’intero Governo (che pure la meriterebbe).
  3. Che un Ministro della Repubblica italiana sia chiamato a rendere conto del proprio operato nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche (indipendentemente dal fatto che abbia commesso o meno un reato), non è aggressione politica. E’ democrazia.

Ammesso pure che sia prerogativa del primus inter pares difendere i suoi pares, la presa di posizione di Letta – così al di fuori del buon senso – ci dice in realtà molte cose.

Al di là della propaganda ad uso e consumo mediatico, la sua è innanzitutto una chiamata all’ordine per il proprio partito, agitato negli ultimi giorni dalle dichiarazioni dei candidati alla Segreteria in cerca di consenso mediatico (compreso il buon Civati, che stimo assai ma che stavolta ha sbagliato tempistica e motivazione). Il Presidente del Consiglio teme, forse a torto, che in Parlamento possano prevalere le logiche pre elettorali, a danno della tenuta del Governo.
Perché però tanta attenzione? Perché tanta dedizione non si è riscontrata, per esempio, nel caso di Josefa Idem? Lì c’era un reato, è vero, ma è indubbio che il peso politico (da qui il titolo) delle due ministre sia differente.
Annamaria Cancellieri è too big to fail; è un ministro “blindato” perché – si vocifera – sia di nomina direttamente presidenziale (inteso per Presidenza della Repubblica). Il suo allontanamento potrebbe quindi mettere a rischio l’architettura dell’intero esecutivo costruito ad arte da Re Giorgio. Eppure, se il punto fosse la stabilità del Governo, la soluzione sarebbe semplice. Basterebbe infatti nominare un ministro di identico profilo (richiamare Paola Severino, ad esempio). Anche il rischio della mancata tenuta in Parlamento è in realtà inesistente. Cancellieri è teoricamente in quota Lista Civica, un partito senza più un leader e i cui membri paiono di recente troppo occupati a trovare una nuova collocazione per far saltare il banco. Togliere la fiducia al Governo non converrebbe a nessuno di loro in questo particolare frangente e verosimilmente nemmeno nel prossimo futuro.

Forse Letta sta esplicitando qualcos’altro, che in fondo era già evidente: il ministro della Giustizia ha agito in modo esattamente coerente con il resto dell’esecutivo e con colui che lo dirige. Ciò significa che, in circostanze analoghe, ognuno dei ministri avrebbe fatto altrettanto (e magari lo ha fatto, senza che si sia venuto a sapere). Tutti a difesa del patto di mutuale soccorso e di suddivisione degli interessi stipilato decenni orsono tra una certa classe politica e una certa classe imprenditoriale, di cui Annamaria Cancellieri e Giulia Ligresti sono solo gli ultimi epigoni. Il Ministro della Giustizia deve essere protetto, perché devono essere protette le dinamiche sottese al suo agire. Deve essere protetto il patto. In nessun caso e in nessun modo deve filtrare il messaggio che vi sia qualcosa di sbagliato in esso.
Che la stabilità da difendere a tutti i costi vada in realtà intesa come mantenimento e salvaguardia di questo accordo? “A pensar male si fa peccato; ma spesso ci si azzecca…”, diceva qualcuno. Il nostro Primo ministro non lo avrà di certo dimenticato.

Metodo buffo

— post retrodatato —

Il 4 novembre scorso il Ministro di grazia e giustizia Annamaria Cancellieri ha denunciato contro di lei l’uso del metodo Boffo, per l’affaire Ligresti.

Nel merito della questione, la migliore riflessione che potrei partorire non saprebbe probabilmente essere più incisiva e rappresentativa del mio pensiero di quella fatta dall’ottimo Alessandro Gilioli qui.

Riguardo al metodo Boffo invece, proporrei un’operazione tipica dell’apprendimento scolastico, ovvero un bel ripasso.

Il 28 agosto 2009 Vittorio Feltri (direttore de Il Giornale) ritenendo incoerenti le critiche rivolte dal direttore dell’Avvenire Dino Boffo al Presidente del Consiglio Berlusconi, pubblica un certificato del casellario giudiziale da cui risulta una condanna di Boffo per molestie e un documento (presentato come un’informativa della polizia) che diffonde la voce sulla presunta omosessualità dello stesso Boffo. Questa voce, attribuita dal documento al Tribunale di Terni e come tale riproposta da Feltri, viene però smentita dal gip di Terni. La vicenda riferita da Feltri risale al 2002, quando Boffo venne denunciato da una donna per molestie telefoniche. Qualche giorno dopo il Ministro dell’Interno smentisce l’ipotesi di “schedatura” da parte della polizia nei confronti di Boffo.
Il 4 dicembre 2009 Feltri scrive sul Giornale che «La ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire, non corrisponde al contenuto degli atti processuali».
Il 26 marzo 2010 il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti di Milano sospende per sei mesi Feltri dall’albo dei giornalisti per le false accuse a Boffo che ne hanno violato la dignità personale e il decoro professionale e per le rivelazioni falsamente attribuite al Tribunale di Terni.

(Estrapolazione da Wikipedia)

In estrema sintesi, su Dino Boffo vennero pubblicate notizie false, esagerate e diffamatorie, attinenti alla sfera privata del giornalista, piuttosto che a quella professionale.
Ci sarebbe altro da aggiungere, ma al momento è sufficiente questo per descrivere una prassi ormai divenuta celeberrima con il nome di “metodo Boffo“.

Sul ministro Cancellieri sono state pubblicate notizie vere, certificate e riferite oltretutto alla sua attività di Ministro della giustizia.
Ci sarebbe altro da aggiungere, ma al momento è sufficiente questo per descrivere una prassi che non ha nulla a che vedere con il metodo Boffo, e che anzi potrebbe essere ribattezzata con il nome di “metodo buffo“. Di difendersi.

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Protozoo Democratico (P.D.)

index

Con colpevole ritardo ho appreso che il candidato segretario alle primarie del PD Matteo Renzi non ha voluto simboli del partito alla sua convention, pare per ”non allontanare chi non l’ha mai votato”.
Ecco, secondo me questo è assai rappresentativo del modus operandi della politica degli anni 2000, di cui Renzi è un prodotto tanto quanto Grillo, e Berlusconi il loro padre (im)putativo.
La perdita totale di ogni identità e identificazione, che sia ideologica o simbolica, come mezzo (immagino giustificato dal fine) per catturare un voto in più.

Si ripete spesso che le ideologie, la Destra e la Sinistra, non esistono più. Non è vero. Destra e Sinistra esistono eccome. Esistono scelte in politica estera, interna ed economica che sono di Destra ed altre che sono di Sinistra. Che nessuno le compia più, è un altro (e ben diverso) discorso.

Renzi dice di osteggiare le larghe intese (dopo averle vagheggiate durante le precedenti primarie), ma la sua dichiarazione va esattamente in direzione opposta. Così opposta, da giungere persino a superarle. Il sindaco di Firenze si fa profeta di un’identità vuota, neutra, anodina e anodinizzata, da plasmare e riempire coi colori e i simboli giusti a seconda del momento e delle circostanze. La “balena bianca” 2.0 è nulla a confronto. Siamo alla vigilia di una mutazione genetica verso il protozoo. Un’enorme e nuovissimo organismo monocellulare, privo di qualsiasi capacità di discernimento.

Consiglio alla lettura: Alessandra Daniele, in stato di grazia, analizza la situazione politica italiana attuale nel post The Show must go on

Fare domani quello che puoi rimandare oggi

Dunque ricapitoliamo: Alitalia – la nuova Alitalia, quella nata dalle ceneri della vecchia per merito dei Capitani coraggiosi – è di nuovo sull’orlo del fallimento. Per risolvere la situazione, il governo ha incoraggiato Poste italiane ad entrare nel capitale della compagnia di bandiera. Un intervento di portata tale che, ad andar bene, rimandera il patatrac di qualche mese – massimo un anno.
Nessun piano di investimento serio; nessuna idea su come rendersi più appetibili ai viaggiatori (evitare di lasciare a terra i bagagli di tutti i voli in transito, come accaduto il 6 ottobre scorso a Fiumicino, potrebbe aiutare); nessuna intenzione di affidarsi a partner con larga esperienza nel settore o di coinvolgere maggiormente quelli che sono già azionisti della compagnia.
Un cerotto applicato su una ferita da arma da fuoco.

Nello stesso periodo, lo stesso governo (su input apparentemente molto poco casuale di King George) si è deciso finalmente ad affrontare l’emergenza carceri, con una proposta di indulto o amnistia da portare in Parlamento. Un provvedimento che, ad andar bene, provocherà un nuovo sovraffollamento fra circa un anno – massimo due.
Nessuna revisione del codice penale; nessuna sanzione sostitutiva delle pene detentive brevi, nemmeno per quella fattispecie di reati che in altri paesi non sono neppure previsti; nessuna azione parlamentare per modificare o abrogare leggi inutili e reazionarie come la Fini-Giovanardi (della Bossi-Fini si parla soltanto a causa dei recenti avvenimenti a Lampedusa, featuring Papa Francesco); nessuna nuova grande opera pubblica, perché è molto meglio continuare a costruire appartamenti che rimarranno inesorabilmente invenduti, piuttosto che infrastrutture carcerarie (magari anche all’avanguardia).
Un pezzo di nastro adesivo su una colonna crepata.

Non so a voi, ma a me questo sembra tanto il Governo del fare… Domani quello che può rimandare oggi.

Noi siamo qui

Tanto per orientarsi nella mappa: la prima tabella illustra il grado di competenze alfabetiche nei diversi Paesi e ci dice che ormai siamo de facto degli analfabeti funzionali; la seconda rappresenta la percentuale di popolazione in possesso di un alto livello di istruzione.

La seconda non è a mio avviso grave in sé. Non sono mai stato infatti uno strenuo sostenitore del sillogismo livello di studio=capacità intellettive-conoscenze culturali, soprattutto in un paese come il nostro, dove ormai avere un titolo di un qualche genere garantisce identiche possibilità di impiego rispetto a non averlo affatto (e quindi molti ci rinunciano semplicemente perché lo ritengono inutile). E’ però il combinato disposto dei due a mostrare la gravità della situazione; a illustrare la realtà di un un paese fermo, quand’anche non in regressione. Il libero mercato prima e la crisi economica poi hanno indotto (mi rifiuto di scrivere “imposto”: le alternative c’erano e ci sono) a tagli sempre più ingenti del welfare, di cui l’istruzione pubblica è ovviamente un cardine. La facile previsione è che un giorno, non molto lontano, pagheremo il conto di quelle scelte. A dire la verità, stando a queste tabelle lo stiamo già pagando, sebbene non ce ne accorgiamo ancora.

Viceré e Gattopardi

Trascorro una settimana in Turchia (a Istanbul; magari ne scriverò nel week end) e in Italia succede di tutto: dimissioni di ministri, crisi di governo, uno dei tre maggiori partiti italiani pronto ad una inopinata quanto imprevedibile (fino a qualche giorno prima) scissione… Fuoco, fiamme, fulmini e saette.

E poi? E poi niente. Abbiamo scherzato. Siamo sempre lì, abbarbicati allo scoglio puntuto della Große Koalition in salsa di pomodoro.

“Perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, diceva Tancredi allo zio Principe Salina, ne Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.

E Consalvo Uzeda di Francalanza, nell’explcit de I Viceré, rilancia: « … Noi siamo troppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo. Guardiamo la zia Chiara, prima capace di morire piuttosto che di sposare il marchese, poi un’anima in due corpi con lui, poi in guerra ad oltranza. Guardiamo la zia Lucrezia che, viceversa, fece pazzie per sposare Giulente, poi lo disprezzò come un servo, e adesso è tutta una cosa con lui, fino al punto di far la guerra a me e di spingerlo al ridicolo del fiasco elettorale! […] Ma la storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male… Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa»

Keep calm and stay still.

Due più due fa cinque

A volte invece fa tre. A volte fa cinque, quattro e tre contemporaneamente.

156924_1734904261245_6855037_nChiunque abbia letto 1984 di George Orwell sa bene a cosa sia riferita la citazione (per gli altri, c’è Google). E’ la verità stravolta e rimodellata dal potere, che la plasma a suo uso e consumo. E’ la mistificazione creata ad arte per imporre al popolo una menzogna, tramutandola in realtà.
E’ esattamente quello che sta accadendo da ieri sera, da quando cioè il PdL ha diffuso la versione ufficiale sul motivo delle dimissioni dei suoi ministri dal governo. In estrema sintesi: “Ci siamo resi conto che con questo governo era impossibile ridurre le tasse”. Traduzione: “Lo abbiamo fatto per i cittadini; lo abbiamo fatto per voi”
Avendo letto i giornali o guardato la televisione nell’ultimo mese, ci si dovrebbe subito accorgere che qualcosa non torna, per alcuni semplici motivi.

  1. L’abolizione della prima rata dell’IMU è cosa ormai stabilita ed occorre solo la ratifica del Parlamento. Se il governo cade e le camere vengono sciolte, l’IMU si pagherà come da programma iniziale.
  2. La sospensione dell’aumento dell’IVA doveva essere discussa in Consiglio dei Ministri in questi giorni, per poi approdare in Parlamento. Da una settimana a questa parte (grossomodo dal famoso videomessaggio del 18 settembre) tuttavia, l’attività già di per sé non alacre del Consiglio dei Ministri, si è sostanzialmente arenata, a causa delle continue discussioni sulla decadenza o meno di Silvio Berlusconi.
  3. Da inizio settembre, ovvero da quando è stata emessa la sentenza di condanna dalla Corte di Cassazione, il PdL in toto ha posto l’accento sulla cosiddetta “agibilità politica” del proprio leader, minacciando a più riprese l’alleato di governo di far saltare il banco nel caso in cui Berlusconi fosse stato dichiarato ineleggibile per la legge Severino o decaduto dal ramo parlamentare di appartenenza (il Senato). Cosa che infatti ieri è puntualmente accaduta.

I motivi della scelta di cui sopra sono quindi fin troppo chiari, e per stessa ammissione dei diretti intessati, almeno stando alle dichiarazioni rilasciate fino a due giorni fa. La menzogna però è necessaria, soprattutto in vista delle elezioni e della relativa campagna elettorale. Ascolteremo il mantra delle “dimissioni dal governo delle tasse per salvare i cittadini dallo Stato che vuol mettere loro le mani in tasca” (magari accorciato in versioni più spendibili) fino allo sfinimento; fino a che, magari fra 10 o 20 anni (o anche solo 10 o 20 minuti), molto si convinceranno che quella è la “veramente vera verità” (cit.). La stessa per la quale due più due fa tre, quattro e cinque contemporaneamente e il primo governo Berlusconi è caduto a causa dell’avviso di garanzia della Procura di Milano. Dopo di che tutti ameremo il Grande Fratello.

Capitani coraggiosi

capitanicoraggiosiNel 2006 la compagnia aerea di bandiera italiana, Alitalia (Linee aeree italiane) è sull’orlo del baratro. Il fallimento e la chiusura sono a un passo. Si fanno avanti alcuni acquirenti, tra i quali Lufthansa e AirFrance. Le offerte per rilevare la compagnia sono allettanti, ma i Tedeschi non offrono garanzie sul mantenimento di Roma Fiumicino come hub principale (preferirebbero Malpensa, che di lì a poco entrerà definitivamente nell’oblio); i Francesi invece sì. Il 21 dicembre 2007 il cda di Alitalia identifica in Air France-KLM l’interlocutore con cui avviare una trattativa in esclusiva. La scelta è avallata anche dall’azionista principale, ovvero lo Stato italiano.
Il piano francese prevede un sostanzioso versamento per le azioni, con totale accollamento dei debiti finanziari della compagnia italiana (circa 1,4 miliardi), a fronte però di 2300 esuberi e di una fortissima riduzione degli stipendi di dirigenti e manager (quelli di AirFrance all’epoca guadagnavano grossomodo 1/10 rispetto alle controparti di Alitalia).
Qui accade l’imprevisto. I sindacati si oppongono ai licenziamenti. Il capo del futuro governo imposta la propria campagna elettorale sulla difesa dell’italianità della compagnia di bandiera, che deve “restare in mani italiane”. Il patriottismo d’accatto porta in dote una bizzarra alternativa: una cordata composta da una banca (Intesa San Paolo) e da una serie di imprenditori italiani. Ecco i nomi (spero tutti, ma non garantisco): Benetton, Gavio, Riva (quello dell’ILVA di Taranto), Colaninno (figlio dell’allora ministro delle infrastrutture del governo-ombra veltroniano), Angelucci (ora indagato per truffa allo Stato), Toto (proprietario di AirOne, unico con esperienza nel settore), Ligresti (ora indagato), Mancuso, Carbonelli-D’Angelo, D’Avanzo, Orsero, Tronchetti Provera (quoque ille, onnipresente), Caltagirone (ora indagato per frode fiscale), Bellavista, Fratini, Traglio, Crociani, Maccagnani, Fontana, Manes, Marcegaglia. Una bella compagnia, non c’è che dire. Anzi, una bad company, proprio come quella che viene appositamente costituita per assorbire tutti i debiti pregressi di Alitalia. In matematica però, così come in natura, nulla si crea e nulla si distrugge; e le perdite in qualche modo devono essere ripianate. E’lo Stato italiano che se ne fa carico, con una manovra finanziaria che impone ad ogni cittadino un esborso straordinario calcolato in circa 172 euro cadauno.
Dulcis in fundo, non c’è certezza sugli esuberi. 2000? 6000? 4000 con riassunzione programmata in un secondo momento (eppure ancora aspettano)?
La situazione pare surreale. Al posto di un acquirente in possesso di ottime referenze e che avrebbe permesso allo Stato (quindi a noi tutti) di chiudere la vendita in attivo (tra costo delle azioni e risoluzione del dissesto finanziario ), se n’è preferito uno che, oltre ad avere competenze ridotte (e quindi minori garanzie di “buona gestione”), ha pure prodotto un passivo.
Sembra un dejà vu del triangolo Alfra Romeo-Opel-Fiat di craxiana memoria.

— Breve parentesi metaforica:
Immaginiamo di dover vendere una bella credenza antica, un po’ rovinata ma ancora funzionale. I costi di ristrutturazione sarebbero troppo alti per noi, perciò cerchiamo un acquirente.
Acquirente uno (uomo con la “r” moscia ma perbene, che vive dall’altra parte della città; amante delle lumache; collezionista di mobili antichi): “Le offro mille euro. La rimetto come nuova e tutta a mie spese. Lei non dovrà preoccuparsene più.”
Acquirente due (uomo con spiccata gestualità ma perbene, che vive nello stesso condominio; amante della pizza; collezionista di tutto fuorché di mobili): “Le offro un mazzo di fiori. Però me la rimette a posto lei, a sue spese. Posso scroccarle una sigaretta?”
— Fine parentesi metaforica.

“Ma almeno abbiamo salvato l’italialità della compagnia di bandiera!”, si potrà dire. Non del tutto vero, visto che nel 2009 AirFrance ha acquistato circa il 25% di Alitalia e che un anno dopo, nel 2010, Rocco Sabelli, allora amministratore delegato della compagnia aerea italiana, ha dichiarato: “La mia opinione personale, che trasformerò in una raccomandazione agli azionisti, è di costruire una fusione tra le due compagnie [Alitalia e AirFrance] per confluire in un aggregato più grande”.
Oggi l’argomento torna di stretta attualità, essenzialmente a causa dell’acquisizione di Telecom Italia da parte degli Spagnoli di Telefonica. Per quanto sia un caso assai differente, anche qui si toccano discrete vette di surrealtà. Con l’aggravante, in questo caso, di essere giunti alla vendita non solo di un’azienda, ma dell’intera infrastruttura italiana delle telecomunicazioni (eccezion fatta per i pochi punti in cui Fastweb ha implementato linee proprie). Ora già si prepara la marcia indietro, motivata da strampalati discorsi sulla presunta “sicurezza nazionale”. Se davvero così fosse, basterebbe pronunciare la frase che suscita l’anatema do ogni liberista: “statalizzazione della rete”.
Ad ogni modo sarò blasfemo, ma non giudico il problema dirimente. Dirimente è secondo me l’analisi generale di un paese fatto a pezzi da coraggiosi capitani di industria che oggi, nonostante i ripetuti fallimenti, si ritrovano comunque più ricchi di trent’anni fa (http://temi.repubblica.it/micromega-online/super-manager-questi-costano-come-i-partiti/), smembrando società, trasferendole all’estero (dove governi compiacenti li sovvenzionano; non raccontiamoci la solita menzogna del minore costo della manodopera), sedendo contemporaneamente in quattro o cinque consigli di amministrazione. Intanto attorno a loro (e spesso per causa loro) molti perdono il lavoro; e coloro che sono così bravi o fortunati da mantenerlo, sempre più spesso sono costretti a lavorare di più e a guadagnare di meno.
Ma si sa: in Italia non si investe per colpa dell’articolo 18 e di sindacati come la FIOM. E’ questo il motivo per cui AirFrance non ha comprato Alitalia nel 2008, giusto?
E due più due fa tre, quattro e cinque allo stesso tempo… (cit.)

L’ordigno fine di mondo


Dal blog di Alessandro Gilioli:

La strada scelta da Berlusconi, alla fine, è quella che si era anticipata qui, l’8 settembre scorso. Era, del resto, la più prevedibile. Vediamo cosa ci aspetta, quindi.

Il Cavaliere vuole elezioni anticipate?
A questo punto è evidente. Le dimissioni di massa, aldilà dei controversi effetti pratici, sono un tentativo di delegittimare l’attuale Parlamento, per farne un altro. D’altro canto è da settimane che Berlusconi sta preparando la campagna elettorale, vuoi con il rilancio di Forza Italia vuoi con la prenotazione nelle città dei cartelloni ’sei per tre’, confermata dallo stesso Pdl.

Qual è lo scopo?
Evitare il voto dell’Aula del Senato sulla sua decadenza. Con le elezioni anticipate, lo scudo di senatore gli resta finché non vengono elette nuove Camere.

Perché?
Se si sospende l’attività del Senato, Berlusconi si toglie dai piedi l’applicazione immediata della legge Severino. Così resta parlamentare finché non vengono esauriti altri tre passaggi: la Corte d’Appello gli ricalcola l’interdizione dai pubblici uffici, la Cassazione conferma questo ricalcolo, il prefetto di Campobasso applica l’interdizione (essendo il Molise il suo collegio di elezione). In tutto, possono passare altri cinque o sei mesi: si va almeno a fine febbraio.

E cosa se ne fa B. di arrivare a fine febbraio?
Nella testa di Berlusconi, il caos delle prossime settimane dovrebbe essere tale da costringere Napolitano a sciogliere le Camere non oltre la fine di ottobre, consultazioni comprese. Dal momento dello scioglimento delle Camere al nuovo voto, come noto, passano tra i 45 e i 70 giorni. Quindi si potrebbe andare alle urne, ad esempio, in una domenica tra il 15 dicembre e il 5 gennaio. O anche un paio di settimane più in là: quello che gli basta è anticipare l’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici. L’obiettivo è chiaro: farsi rieleggere prima della decadenza, ottenere un Parlamento dalla sua parte e, immediatamente, garantirsi apposite leggi ad personam, insomma un salvacondotto.

Ma può farsi rieleggere? La legge Severino non glielo impedisce?
Certo che glielo impedisce, in teoria. Ma siamo daccapo con gli scazzi degli ultimi mesi: lui sostiene che la Severino non può applicarsi al suo reato perché questo è precedente l’approvazione della legge, e che in ogni caso la Costituzione gli garantisce il diritto di vedersi approvata o negata l’elezione dalla Camera di appartenenza. Quindi è pronto a ricorrere al Tar e al Consiglio di Stato, ma soprattutto a fare la vittima in campagna elettorale. Ad ogni modo, anche se personalmente non ottenesse un seggio, l’obiettivo è disporre al più presto di una maggioranza che gli faccia un qualche tipo di salvacondotto.

Però non si sono mai viste elezioni a Natale. E poi c’è la legge di stabilità da approvare.

Ormai a Berlusconi non frega nulla né della prassi, né della legge di stabilità. Semmai qualche problema potrebbe arrivare dalla Consulta, che il 3 dicembre deve decidere sulla costituzionalità del Porcellum, ma la questione è giuridicamente complessa e probabilmente si finirebbe per votare lo stesso. Tra l’altro in realtà c’è un precedente di voto ‘natalizio’ in Italia, seppure locale: le regionali che si sono tenute in Abruzzo il 15 dicembre del 2008 (vinte dal Pdl).

Ma come si è arrivati a questo punto?
Berlusconi si è deciso a scagliare la bomba ‘fine di mondo’ quando ha capito due cose. Primo, che i margini di mediazione con Napolitano si erano esauriti di fronte alla questione della cosiddetta ‘esaustività’ della grazia: il Quirinale era disposto a un atto di clemenza ma solo per la pena principale e non per quella accessoria (l’interdizione), come del resto anticipato dal comunicato di agosto del Colle. Secondo, il Cavaliere ha orecchiato che nei tribunali di Milano, Bari e Napoli le cose non si stanno mettendo bene per lui: quindi teme che una volta decaduto da parlamentare, gli arrivi un mandato d’arresto. Con il carcere vero, non domiciliari o servizi sociali.

Ma è uno scenario realistico? Rischia davvero le manette, se decade da parlamentare?
Questo lo sanno solo i giudici delle tre città citate. Certo è che il suo curriculum per quanto riguarda il rischio di inquinamento delle prove è pessimo: è di corruzione giudiziaria che è indagato a Bari, è per aver pagato dei testimoni del processo Ruby che sarà probabilmente indagato a Milano. Quanto al pericolo di fuga, dispone di aerei privati che gli consentirebbero di andarsene anche se gli hanno ritirato il passaporto. Insomma, potrebbero non mancare i presupposti per un provvedimento cautelare, che non avrebbe direttamente a che fare con la condanna definitiva per frode fiscale.

Funzionerà o no questa ‘bomba fine di mondo’ di Berlusconi?
È una partita aperta. Gli ostacoli sulla sua strada sono fondamentalmente tre.

Primo?
Napolitano, è ovvio: fallita la trattativa, la rottura ora è evidente. Il Quirinale farà di tutto per non andare al voto, tanto meno così in fretta. Berlusconi potrebbe strepitare all’infinito, ma il Colle per contro potrebbe tirarla in lungo con consultazioni, preincarichi, incarichi e così via.

Secondo?
I ‘riservisti’, come vengono chiamati. Cioè i parlamentari del Pdl o di forze limitrofe (tipo Gal) che potrebbero cambiare casacca per sostenere un altro governo dopo quello attuale: vuoi un Letta bis, vuoi un esecutivo retto da Grasso o da altre figure ‘di profilo istituzionale’. Con una dozzina di ‘riservisti’, Berlusconi finirebbe all’opposizione e non riuscirebbe a far sciogliere le Camere.

Terzo?
Chi l’ha detto che andando a votare a gennaio Berlusconi ottenga la maggioranza in entrambe le Camere? Al momento i sondaggi parlano di un nuovo pareggio. In questo senso, si dice attorno a Forza Italia, Berlusconi teme soprattutto l’ascesa di Renzi.

Quindi cosa ci aspetta?
Se ci si arriva, la campagna elettorale più violenta di sempre. Del resto, è la bomba fine di mondo.